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  • Emanuele Mendozzi

RETROMANIA. Benjamin e fisher, uno strano incontro in una vita anteriore


Les houles, en roulant les images des cieux,

Mêlaient d'une façon solennelle et mystique

Les tout-puissants accords de leur riche musique

Aux couleurs du couchant reflété par mes yeux

C'est là que j'ai vécu…

(Charles Baudelaire, La vie antérieure, 1857)



C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.

Troppo spesso come abitanti del tardo capitalismo le nostre sagome appaiono fin troppo simili a quelle dell'angelo della storia. Guardando le locandine affisse all'entrata di un cinema, aprendo Neflix, Spotify o YouTube siamo messi di fronte a una schiera di spettri: L'ennesimo remake di Star Wars, le clip della live del nostro streamer preferito riproposte all'infinito, l’ennesimo sequel della stessa saga videoludica, le nuove uscite che di nuovo hanno ben poco.

Quella che potremmo a ragione definire una vera e propria coazione a ripetere tipica del nostro tempo, il revival, ci permette di tracciare un vero e proprio quadro clinico dell'epoca che stiamo vivendo.

Freud in Al di là del principio di piacere traccia in modo nitido la correlazione oppositiva tra ricordo e ripetizione, quest'ultima dipenderebbe dalla traccia mnemonica, quella che in Proust prenderà il nome di mémoire involontaire. Si ripete quando è impossibile ricordare e il correlato di ogni ricordo è la coscienza. La proposizione fondamentale di Freud, che è alla base di questi sviluppi, è formulata nell’ipotesi che «la coscienza sorga al posto di un’impronta mnemonica». Essa «sarebbe quindi contrassegnata dal fatto che il processo della stimolazione non lascia in essa, come in tutti gli altri sistemi psichici, una modificazione duratura dei suoi elementi, ma sbollisce, per cosí dire, nel fenomeno della presa di coscienza». La formula basilare di questa ipotesi è «che presa di coscienza e persistenza di una traccia mnemonica sono reciprocamente incompatibili per lo stesso sistema». Residui mnemonici si presentano invece «spesso con la massima forza e tenacia quando il processo che li ha lasciati non è mai pervenuto alla coscienza». Tradotto nella terminologia proustiana: parte integrante della mémoire involontaire può diventare solo ciò che non è stato vissuto espressamente e consapevolmente, ciò che non è stato, insomma, un’«esperienza vissuta». (Benjamin, 1995)

Quindi sembrerebbe che il gusto per il Revival sviluppato dal tardo capitalismo corrisponda a un problema legato all'esperienza, in particolare all'esperienza vissuta, l'industria sarebbe affetta da una qualche forma di amnesia.

«Il disturbo della memoria collegato a questa situazione è quello che in Memento affligge il protagonista Leonard, in teoria un puro caso di amnesia anterograda: per chi soffre di questo disturbo, i ricordi precedenti all’avvento della malattia restano intatti, ma diventa impossibile immagazzinare nuove informazioni nella memoria a lungo termine; tutto quanto è «nuovo» diventa di conseguenza una minaccia ostile e innavigabile, cosicché il malato non può che rifugiarsi nella sicurezza del «vecchio». Incapacità di produrre ricordi nuovi: eccola, la formulazione essenziale dell’impasse postmoderna.» (Fisher, 2009)

La produzione non può far altro che ripetere, la sua condizione sarebbe simile a quella del giocatore d'azzardo che vivono una vita da automi, e somigliano agli esseri immaginari di Bergson che hanno completamente liquidato la loro memoria. Il fatto di ricominciare sempre di nuovo è l’idea regolativa del gioco (come del lavoro salariato), il giocatore si trova in uno stato d’animo in cui non può fare tesoro dell’esperienza.



FUTURO PASSATO


Il problema del Revival solleva inesorabilmente la questione del passato e del futuro. Da una parte l'impossibilità di ricordare (basti pensare a come velocemente le notizie vengano dimenticate nell'arco di una settimana), dall’altra, è una cultura piagata da un eccesso di nostalgia, schiava della retrospezione e incapace di dare vita a qualsivoglia novità autentica. Non solo l'assenza del passato porta inesorabilmente a ripeterlo, ma l'assenza di un futuro è retrospettivamente la fine del passato, siamo di fronte a una vera e propria nostalgia per un futuro perduto.


TIME OUT OF JOINT


Il romanzo del 1959 Time out of joint di Philip K. Dick offre un caso esemplare ai fini della nostra analisi.

La storia si apre come vicenda realistica: in una tranquilla cittadina statunitense degli anni cinquanta, in un quartiere periferico residenziale (suburb) di graziose villette tutte uguali, con il giardino ben curato e il televisore sempre acceso, vive una famiglia tipica: Vic Nielsen, gestore di un supermercato, e Margo, casalinga, genitori di Sammy. L'unico elemento fuori posto in questa famiglia modello è Ragle Gumm, il fratello di Margo, che dalla fine della guerra non s'è trovato né moglie né lavoro, e vive ospite del cognato. Ragle passa il suo tempo amoreggiando con le vicine di casa, tra cui l'avvenente e infantile Junie Black, e partecipando a un gioco a premi che viene pubblicato tutte le mattine dal quotidiano locale, la Gazette. Il gioco gli permette di avere sempre qualche dollaro in tasca perché, per strano che possa sembrare, Ragle vince sempre, tutti i giorni, da anni. Ormai gli abitanti della piccola città si sono abituati a vedere la sua foto sulle pagine della Gazette, e lo conoscono tutti.

Ma Ragle non è affatto contento della sua vita. Si sente in colpa perché, a differenza del cognato e di tutti gli altri uomini adulti, non si è fatto una famiglia e non ha un lavoro rispettabile. Inoltre, a complicare la sua situazione, cominciano a capitargli strani incidenti: ogni tanto qualche oggetto attorno a lui sparisce, lasciando solo un biglietto con sopra il nome dell'oggetto svanito. Ragle comincia a sospettare di essere malato di mente, ma scopre che anche ai suoi parenti succedono cose strane.

Il gioco a premi in cui Ragle è impegnato, si intitola "Dove andrà oggi il nostro Omino Verde?". Si tratta di indovinare in quale casella di una scacchiera si recherà il personaggio del gioco. Ragle vince quasi tutti i giorni, ed ha stretto un accordo con l'editore del gioco per cui può sbagliare un certo numero di volte prima di essere estromesso dalla classifica generale dei giocatori del quiz. Il motivo di questo trattamento preferenziale sta nel fatto che il pubblico vuole i suoi eroi, e desidera veder vincere sempre le stesse persone.

Alla fine del romanzo, Ragle scopre la verità sulla sua vita; lui non è un giocatore, ma un analista di intelligence, e il gioco dell'omino verde in realtà consiste nello scoprire dove cadranno i missili del nemico. L'intera vicenda è in realtà ambientata nel 1998.

La ridente cittadina in cui è ambientata la vicenda è simile a un parco a tema, una ricostruzione fatta di facciate e edifici vuoti, Dick sarà un assiduo frequentatore di Disneyland in LA.

Come messo in luce da Fisher, l'abilità di Dick non consiste nel proporre un ritratto fantascientifico del mondo nel 1997, pieno di classici clichè del SF, molto meno convincenti del falso mondo anni cinquanta, ma nel predire in modo accurato, nel 1959, quegli aspetti dell'America degli anni cinquanta che definiranno l'epoca in retrospettiva. La capacità, insomma di immaginare come il futuro avrebbe visto gli anni cinquanta.

Nelle parole di Fisher: «It is the Fifties already envisaged as a themepark: an anticipated recostruction». Il falso sobborgo cittadino è già retromania e gli anni cinquanta non sono ancora conclusi. In questo particolare stato fantasmatico si trovano i prodotti del capitale, la novità è solo retrospettiva, una ricostruzione.

«Con la crisi dell’economia mercantile – sono le ultime parole del progetto del libro su Parigi – cominciamo a scorgere i monumenti della borghesia come rovine prima ancora che siano caduti»


I FIGLI DEGLI UOMINI


Un altro esempio ci viene offerto da I figli degli uomini, il film di Alfonso Cuarón del 2006.

In una delle scene chiave del film il protagonista Theo (interpretato da Clive Owen) fa visita a un amico alla centrale elettrica di Battersea, ormai un incrocio tra un ufficio governativo e una collezione d’arte privata. Tesori come il David di Michelangelo, Guernica di Picasso o il maiale gonfiabile dei Pink Floyd, sono conservati in un edificio che è a sua volta uno stabile storico ristrutturato. Sarà il nostro unico sguardo sulla vita delle élite, rintanate lì dentro per proteggersi dagli effetti di una catastrofe che ha provocato la sterilità di massa: da generazioni, non nascono figli.

La catastrofe qui inscenata è, per riprendere un nostro precedente saggio, già avvenuta, o meglio è ancora in corso, la fine è una durata, non è un'esplosione, ma un lento esaurirsi del mondo. Il senso del passato si svanisce con il lento dissiparsi del futuro. Alla domanda di Theo su che senso abbia raccogliere quelle opere, quindi che senso abbia il passato, visto che non ci sarà nessuno ad ammirarle, visto che non ci sarà nessuna nuova generazione, l'amico risponde con un nichilista «Molto semplice: non ci penso». Il futuro e il passato sono finiti, perché anche il passato può finire, non resta solo che la reiterazione, la ripetizione automatica di ciò che già esiste.

«Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine.» (Fisher, 2009)

Non si può non notare la somiglianza di queste parole di Fisher con la descrizione dell'Angelus Novus offerta da Benjamin e che apre questo saggio.


LA RIPETIZIONE. LE COUP DE DES.


Il colpo di dadi è una metafora fortunata nella storia della filosofia e della letteratura. Ma ci sono due tipi di lanci: Il lancio affermativo e il lancio automatico.

Come intuito da Deleuze in Nietzsche et la philosophie un lancio può essere ripetuto per raggiungere una certa combinazione o può trattarsi di un solo lancio che in virtù della combinazione prodotta viene a riprodursi come tale. Il primo caso è il caso del giocatore d'azzardo di Baudelaire, privo di esperienza e di memoria, che in virtù dell'automatismo continua a lanciare i dadi. Il secondo è il lancio dell'affermazione del divenire, siamo di fronte a una ripetizione completamente diversa che non ha il carattere della permutazione.


«Se mai mi assisi al tavolo divino della terra, per giocare a dadi con gli dei, sì che la terra sussultò e si spaccò e sbuffò fiumi di fuoco: - perché la terra è un tavolo divino, fremente per nuove parole creatrici e per divini lanci di dadi...

Oh cielo su di me, tu puro! Tu alto! Questa è per me la tua purezza, che non ci siano un ragno eterno e ragnatele eterne: - che tu sia per me la pista da ballo di casi divini, che tu sia per me il tavolo degli dei per dadi divini e giocatori divini...» (Nietzsche,1968)


Non è lo stesso lancio, non è la stessa ripetizione. Il desiderio solo nel caso affermativo gioca un ruolo in quanto desiderio produttivo, nel caso dei giocatori parigini non si può parlare di desiderio,

che invece, appartiene agli ordini dell’esperienza. È quindi necessario porre una distinzione tra la ripetizione come differenza e la ripetizione come permutazione, come calcolo combinatorio, che non può produrre nulla di nuovo.


AURA. EERIE E SGUARDO.


Abbiamo detto che il problema è un problema di desiderio, non c'è desiderio nella ripetizione retro-maniaca del tardo capitalismo, solo automatismo.

Per Proust la riappropriazione del proprio passato deve passare attraverso un oggetto esterno, un oggetto dotato di aura. Avvertire l’aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare. Ciò è confermato dai reperti della mémoire involontaire. Ma il problema così posto è una questione di agency e in ultimo luogo di desiderio, ha a che fare con l'azione di guardare. Non si tratta qui di uno sguardo contemplativo come quello dell'angelo della storia, ma di uno sguardo penetrante, perturbante o eerie, del reale che penetra nell'automatismo, l'automa acquista la sua esperienza attraverso l'azione di un oggetto esterno. Il carattere propriamente eerie dell’aura intesa in questo senso risiede proprio nel suo carattere di agente che non può essere mai interamente compreso. Se fosse possibile una conoscenza totale dell’oggetto dotato di aura il suo carattere cultuale sparirebbe immediatamente e con esso l’aura che lo circonda. Nelle parole di Valery:

«Riconosciamo l’opera d’arte dal fatto che nessuna idea che essa suscita in noi, nessun atto che essa ci suggerisce, può esaurirla o concluderla. Si respiri finché si vuole un fiore gradito all’olfatto: ma non si arriverà mai a esaurire questo profumo, di cui il godimento rinnova il bisogno; e non c’è ricordo, pensiero o azione che possa annullarne l’effetto o liberarci interamente dal suo potere. Ecco il fine che persegue chi vuol creare un’opera d’arte»

Nel caso della madeleine è evidente il carattere eerie dell’aura, in un senso addirittura doppio, c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci (memoria nell’oggetto esterno) e non c’è qualcosa dove dovrebbe esserci (la memoria nella persona).

L’Aura come così intesa si porta appresso l’idea di lontananza, l’«apparizione irripetibile di una lontananza». Questa definizione ha il merito di rendere trasparente il carattere cultuale del fenomeno. L’essenzialmente lontano è inaccessibile: e l’inaccessibilità è una qualità essenziale dell’immagine di culto.

La fine del carattere cultuale dell’opera che riduce l’opera a monumento, ma monumento senza mistero, una rovina che non faccia sorgere in noi nessuna domanda sulla civiltà d cui essa deriverebbe, un cartonato vuoto, iniziata con la riproduzione tecnica è almeno in parte condizione necessaria della ripetizione-permutazione, un continuo ripetersi dello stesso scatto fotografico che cerchi di cogliere un’immagine precisa, sempre retroproiettata.

Nick Land sogna di un capitalismo le cui forze de-territorializzanti siano emancipate.

A erodere progressivamente il potere dello Stato centralizzato è una mano invisibile ciberneticamente implementata. In Meltdown, il suo manifesto per un Capitale decentrato e non lineare, Land invoca una «pulsione interconnessa alla matrice e massicciamente distribuita, che punta a disattivare i programmi di comando e controllo delle memorie alla base di tutte le forme di macro e microgoverno, globalmente configurate in quello che chiamo Human Security System». Questo è capitalismo come reale che tutto distrugge: un sistema in cui i segnali (virali, digitali) circolano su reti autosufficienti che aggirano il Simbolico e quindi non hanno bisogno di alcun Grande Altro a fare da garante. È il Capitale come «Cosa innominabile» descritto da Deleuze e Guattari, ma senza quelle forze di riterritorializzazione e antiproduzione che secondo loro erano costitutive del capitalismo.

Il membro della CCRU non si rende conto che quello che sta descrivendo non solo non è possibile nel capitalismo, ma non comprende nemmeno l'assenza di desiderio e la ripetizione automatica degli stessi spettri che contraddistinguono il capitalismo.

Non c'è spazio per il reale, solo per il realistico nel tardo-capitalismo e nella sua produzione. Non c'è nessuno nuovo, nessuno sguardo perturbante, nessuna azione che non sia riproposizione.

Per poter pensare un futuro e un passato che siano realmente è necessario fare quello in cui il capitalismo ha fallito: la creazione di un veramente nuovo e quindi la creazione di un passato che sia veramente tale, le cui rovine siano capaci di suscitare il senso del mistero.

«Certi amanti del mistero vogliono credere che rimanga qualcosa, negli oggetti, degli sguardi che li hanno toccati [...] Essi credono che i monumenti e i quadri si presentino solo sotto il velo delicato che hanno tessuto intorno a loro l’amore e la devozione di tanti ammiratori nel corso dei secoli. Questa chimera, – conclude Proust evasivamente, – si trasformerebbe in verità se essi la riferissero alla sola realtà esistente per l’individuo, e cioè al suo proprio mondo sentimentale». (Proust, 1994)


Di Emanuele Mendozzi


BIBLIOGRAFIA

  • Mark Fisher, The wierd and the eerie, Repeater Books, 2016

  • Mark Fisher, Capitalist Realism, John Hunt Publishing, 2009

  • Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, 1995

  • Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, 2000

  • Freud, Al di là del principio di piacere, Bollati Boringhieri, 1977

  • Baudlaire, Les Fleurs du mal, 1857

  • Philip K. Dick, Time Out of Joint, J.B. Lippincott & Co., 1959

  • Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, 1994

  • Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Presses Universitaires de France, 1962

  • F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1968

  • Nick Land, Fanged Noumena, Urbanomic sequence press, 2011


FILMOGRAFIA

I figli degli uomini (Alfonso Cuarón, 2006)



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